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Politica e tendenze

Recensioni e segnalazioni
Luogo pensato per esprimere punti di vista su momenti di attualità che mi colpiscono o per segnalare cose che ritengo significative.

11 novembre 2016
             
Election Trump
gli incubi si ripropongono aggiornati e aprono spazi ai sogni
 Mussolini e Hitler furono eletti. Lo sono stati pure la maggior parte dei dittatori che oggi impestano il mondo. Anche se sorretti da fedi o ideologie diverse, addirittura contrastanti tra loro, sono sempre dittatori spietati e macellai, purtroppo spesso sostenuti da consensi popolari che ad anime sensibili facilmente risultano incomprensibili.
Ciò che può risultare più sorprendente è che, quasi sempre, sono eletti con un apporto consistente delle classi e delle categorie sociali più deboli della popolazione, anche tra i più miseri che hanno ben poco da perdere, i quali, proprio per questo, dovrebbero essere “naturalmente” propensi a rifiutarli. Volendo fare una semplificazione emblematica, gli oppressi diventano puntello e forza dei loro oppressori, così dimostrando di aver ampiamente acquisito e introiettato i fondamenti culturali dell’oppressione che subiscono, mentre al contrario dovrebbero contrastarla. Già questo fatto incrina non poco l’impalcatura teorica delle visioni classiste, dal momento che si sorreggono sul fatto che il presunto “antagonismo di classe”, dato dalle condizioni economico-materiali, sia l’unico antidoto “scientifico” per rivoluzionare il mondo in senso emancipatorio.
Nel caso di Trump la cosa è particolarmente palese e indubitabile. Secondo tutti gli analisti, c’è una massa di reietti, tra le vittime più manifeste dell’attuale sistema di potere e ridotti ai margini della società, che è stata di sostegno massiccio alla sua vittoria, contribuendo ad eleggere al massimo potere politico degli Stati Uniti un miliardario, in quanto tale sicuramente tra i responsabili della loro condizione di vita, legittimato così a continuare a decidere del loro destino. Dal nostro punto di vista tutto ciò è deplorevole: le vittime si sono volontariamente consegnate al carnefice e lo hanno eletto tutore della qualità della loro vita.
Un tale fatto, che pur in condizioni e per ragioni differenti si ripropone storicamente quando ci sono crisi economiche e sociali che lasciano il segno, è senz’altro multifattoriale, ma sostanzialmente può essere determinato da due motivi in particolare. Per prima cosa, gli ultimi e i deboli che l’hanno votato hanno inteso delegittimare le classi dirigenti, ritenute responsabili delle loro situazioni esistenziali e per questo disprezzate. Come è stato detto e scritto ovunque, Trump non è uomo di partito, è ritenuto inesperto e incapace per il ruolo che sta per rivestire, per tutta la campagna ha tenuto uno stile di comunicazione volgare e offensivo, infarcito di luoghi comuni sessisti xenofobi e razzisti (un concentrato di neo-parafascismo insomma), è stato rinnegato dai più prestigiosi leader del partito repubblicano di cui ha vinto le primarie, è perciò innegabilmente un emblema dell’antipolitica e dell’antimanagement. Per secondo, gli stessi non aspirano a un mondo diverso, emblematicamente il famoso “sol dell’avvenire”, non sognano una società i cui fondamenti siano alternativi all’esistente. Senz’altro aspirano a una condizione di vita diversa da quella in cui versano, ma la sognano all’interno dello stesso sistema in cui vivono.

Un altro sguardo
Al di là di tutto credo che bisogna gettare uno sguardo diverso sullo scenario di queste elezioni presidenziali americane. C’è un elemento cui non ho ancora fatto cenno che ritengo estremamente importante. L’affluenza alle urne è stata circa del 53% e l’astensione del 46,9%. Il che significa che non ha votato quasi la metà del corpo elettorale. Perché è importante la quantità dei voti espressi? Perché siccome le percentuali di maggioranza e minoranza sono calcolate solo all’interno di chi ha votato, non esprimono la reale situazione dell’intero corpo elettorale. Se teniamo conto che proporzionalmente la Clinton ha ottenuto poco più del 50% del voto popolare espresso, possiamo dire che in realtà Trump è stato votato complessivamente dalla metà della metà. Infatti a suo favore si è espresso circa il 25% dei potenziali elettori, mentre circa metà del popolo americano non è andato alle urne.
Si è così verificato che circa un quarto degli americani, con una fetta consistente di incazzati della working class e degli “indifesi”, come vengono definiti, spera di cambiare la propria situazione attraverso politiche autoritarie marcatamente di destra con contenuti smaccatamente xenofobi. Contemporaneamente la metà della popolazione, non essendosi espressa, non può che essere considerata un’incognita. Su di essa possiamo dire con una buona dose di certezza che molto probabilmente non si riconosce nelle politiche dell’establishment al potere, altrimenti non si sarebbe astenuta, ma non delega la propria rabbia a un contaballe reazionario e razzista come Trump. Quasi sicuramente nel suo insieme non sogna e non agisce per un “altro mondo possibile” (slogan della contestazione a Seattle nel 1999), anche se forse qualcuno senz’altro cerca di farlo, perché altrimenti si sarebbe ritrovata in un movimento, o comunque tenterebbe di agire e propagandare in tal senso.
Non possiamo nemmeno azzardare che questa “incognita” sia in attesa del verbo di un “nuovo messia della rivoluzione”, o che, per esempio, attenda un nuovo movimento capace di incanalare la rabbia per dargli uno sbocco politico nuovo e alternativo. Sappiamo soltanto che volutamente si tiene ai margini, in incognito appunto, che non esprime fiducia né approvazione né disapprovazione nei confronti di quello che c’è e che viene proposto. Non sappiamo neppure quali desideri abbia, se si accontenta di quello che ha o non ha, se sogna o se si arrangia e basta. Personalmente aggiungo e sottolineo che non possiamo né dobbiamo saperlo, perché ogni generalizzazione sociologica non ha senso. Ogni massa può essere massificata, come fanno normalmente i poteri costituiti, alterandone autoritariamente il senso umano, ma può anche essere non considerata massa, perché qualsiasi insieme di persone è sempre un insieme di individui, i quali pensano, hanno sentimenti e reagiscono emotivamente, quindi sono potenzialmente predisposti a voler vivere meglio.

I semi sotto la neve
Sta anche succedendo che migliaia di individui stanno scendendo coraggiosamente nelle strade delle city americane per gridare a tutte/i che non riconoscono Trump come presidente. Not my president (non sei il mio presidente), è scritto sui loro cartelli ed urlato dalle loro bocche. Sono studenti, giovani, precari, gente come tanti negli USA, resi marginali da questo sistema implacabile, che contestano la rappresentazione elettorale. Probabilmente non vogliono un fascista, xenofobo, razzista e maschilista a rappresentarli contro la loro volontà. Per quel che mi riguarda sono una testimonianza nobile ed estremamente importante, che smentisce una buona parte del sociologismo di sistema col quale ci stanno a poco a poco avvelenando.
I famosi “semi sotto la neve”, metafora che con grande saggezza ci regalò Colin Ward, sono sempre lì ad aspettare il disgelo e trovare le condizioni adatte a generare delle bellissime piante. A noi, che abbiamo consapevolezza e desiderio di una società più giusta e autenticamente libera, affrancata da ogni tipo di sfruttamento e oppressione, l’onere di pensare, di studiare il presente e scandagliarlo per renderlo comprensibile a tutte/i, di agire coerentemente, di sperimentare, di proporre e provare nuovi modi di essere e stare insieme, di mettere in moto insomma dei veri processi che contengano in nuce il germe di una trasformazione sociale estesa e condivisa, fondata sulla libertà, la cooperazione, il mutuo sostegno, l’uguaglianza sociale nella valorizzazione delle differenze individuali, il piacere di stare insieme e di avere visioni diverse che si confrontano senza bisogno di farsi la guerra. Personalmente non credo che tutto ciò sia superato e non possa appartenere ed essere desiderato da tutte/i. Dobbiamo solo concordare insieme come arrivarci.
Andreapapi
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9 ottobre 2016
                 
Schizofrenia esterofila del potere
Stiamo vivendo una situazione nazionale parodossale. Paradosso solo apparente, perché nella realtà dei fatti, avvenuti e avvenenti, ciò che sta accadendo è logica conseguenza di modi d’essere incancrenitisi da tempo, nel fu “bel paese” in particolare. Mi riferisco al via vai dell’emigrazione. Migranti di casa nostra, italianissimi, che se ne vanno, come ai tempi dei nostri bis-bis-nonni, i quali non amano più stare qui. Al contempo migranti provenienti dall’estero, dopo viaggi molto faticosi e spesso allucinanti, sbarcano nelle nostre coste sperando di rifarsi una vita, anche se poi la maggior parte di loro sarà costretta a vivere da schiava o in condizioni di mera sopravvivenza.
M’è irresistibile chiedermi perché questo paese sia sempre più invivibile, a volte ai limiti dell’umano, sia per chi ci è nato sia per chi ci viene con la speranza di stare meglio dell’“inferno” da cui è fuggito. La risposta, come sempre quando si parla di cose complicate e complesse, non è per niente semplice, né ha senso trattarla semplicisticamente. L’insieme delle cause e delle ragioni d’un tale stato di cose è multifattoriale, comprendente spinte endemiche d’infimo livello culturale, ottusità connaturate e chiusure mentali.
 Il fatto è che in questo paese da decenni sembra tutto fermo, bloccato in una situazione in cui nulla funziona e qualsiasi cosa è sempre estremamente complicata da realizzare. Se qualcuno ha la malaugurata necessità, e capita continuamente, di avere a che fare con le istituzioni vigenti, quasi sicuramente si troverà invischiato in una rete di difficoltà e inghippi che renderanno ogni questione macchinosa e intricata all’inverosimile. Complicazioni in sé non necessarie, figlie esclusive dell’endemica inefficienza istituzionale, sempre costose e obbligatorie, frutto fra l’altro di leggi che lor signori hanno emanato ed altre che continueranno ad emanare, che soprattutto impediscono di agire in proprio, pena sanzioni particolarmente vessatorie.
La prima evidenza suggerita da questa realtà dei fatti è che queste istituzioni non solo non vengono in aiuto come dovrebbero e come recita l’auto/giustificazione per cui esistono, ma addirittura sabotano. Invece di aiutare a risolvere i problemi li complicano, non raramente li trasformano in non risolvibili. Sorge così spontanea la convinzione che se non ci fossero tutto procederebbe in modo molto più accettabile di com’è ora. Se si lasciasse fare direttamente agli individui per quello che sono, attraverso reti spontanee di relazioni di mutuo soccorso, senza costringerli a ricorrere alla catena burocratica, riuscirebbero ad essere risolti la maggior parte dei problemi che l’incombenza delle situazioni impone. È l’insieme, assurdo e surreale al tempo stesso, degli obblighi e dei divieti, il dover seguire contorti iter di applicazioni necessarie solo agli espletamenti burocratici, che crea barriere inestricabili, spesso insormontabili, senza, fra l’altro, che ce ne sia la reale necessità.
 Così chi vorrebbe riuscire a muoversi con un po’ di agilità per realizzare aspirazioni legittime si sente costretto a espatriare, supportato dalle moltissime testimonianze di chi ha già provato, le quali confermano che complicazioni istituzionali così ingarbugliate si “godono” solo in Italia. Al contrario, chi cerca di inserirsi nel nostro contesto sociale venendo da altri paesi, trova barriere e complicazioni a non finire, venendo sistematicamente umiliato nelle proprie aspirazioni.
Non sarebbe più semplice, come in un certo senso da sempre suggeriscono gli anarchici, lasciar scorrere spontaneamente i flussi degli spostamenti delle genti, permettendo agli esseri umani di ogni luogo di predisporre come accogliere e integrare chi si avvicina, o perché bisognoso o perché desideroso di conoscere luoghi e genti nuove? Non sarebbe meglio favorire capacità e competenze affinate dall’esperienza di vita di ognuno per cercare modi e strade percorribili per addivenire a soluzioni concrete dei diversi problemi? Di lavori e di bisogni nel nostro paese ce ne sono a iosa, soltanto pensando, per esempio, alle urgenze di manutenzione dei territori continuamente esposti all’azione inevitabile degli elementi naturali, che noi non soddisfiamo e lasciamo criminalmente deteriorare.
Nostra patria è il mondo intero, vecchio verso degli Stornelli d’esilio, è sempre attuale. È infatti innegabilmente vero che in linea di principio ogni essere umano ha il diritto di vivere e muoversi dove più gli aggrada. Nel mondo attuale invece, dove prendono sempre più piede paure e fobie alimentate da spinte ultra/autoritarie, aumentano barriere, divieti e obblighi, mentre la repressione è sempre più spietata perché giustamente scoppiano continue rivolte. Follia e schizofrenia dilaganti fanno si che i luoghi, invece di essere goduti per la loro naturale bellezza, siano sempre più invivibili e disumani.
Andreapapi
Fuga dei giovani dall'Italia, nel 2015 via in 40mila
Italiani in fuga all'estero


4 luglio 2016
  
La guerra cibernetica incombe
È in atto un’evoluzione, o involuzione che dir si voglia (dipende dai punti di vista), dei sistemi tecnologici computerizzati e informatici. Sta progredendo quotidianamente in modo esponenziale ed occupa sempre di più ogni branca della nostra vita, che così viene ridotta sempre più marginale sempre più effimera e sempre più precaria. A monte di questo processo non ci sta il problema tecnologia in sé, ma la collocazione tecno-culturale-antropologica che i “gestori del mondo” hanno deciso di attribuirle. Si tratta in definitiva di processi che controllano e dirigono in pochissimi, una specie di elite tecno-finanziaria, fornita di ricchezze iperboliche e mezzi materiali inimmaginabili per i “comuni mortali”, che vive in una specie di limbo terrestre solo a lei accessibile, sempre più staccata dalle popolazioni che assoggetta, impoverisce e intristisce. Nell’articolo qui riprodotto si cerca di informare sullo stato di guerra cibernetica che si sta preparando e sta montando senza che ancora ne abbiamo avuto sentore, ma che è destinato a condizionare molto pesantemente le sorti a breve scadenza di noi genti del pianeta.
Cosa fare di fronte a una tale magnificenza e super potenza tecnocratica, extra e sovra politica, dal momento che volontariamente non usufruisce di nessuna struttura decisionale, nemmeno la più totalitaria, ma decide e impone unilateralmente al di là delle possibilità delle percezioni sensibili? Qui siamo ampiamente oltre ogni possibile biopotere foucaultiano, perché è stato del tutto superato il problema del potere del controllo diretto dei corpi e della vita. Qui la vita più che controllata è costretta da condizioni incombenti imprescindibili, di cui il più delle volte non possiamo averne né la percezione né la conoscenza né il sentore. È assoggettata e basta, magari senza rendersene conto fino in fondo, se non per mere condizioni d’indigenza in cui è costretta.
Scontrarsi è impensabile. O perlomeno, lo si può anche pensare, come diversi continuano a desiderare e supporre dichiaratamente (più spinti dalla rabbia che dalla conoscenza), ma si tratta più che altro di una mera impresa donchisciottesca: contro chi? Per conquistare e distruggere quale “Palazzo d’Inverno”? Per impossessarsi di un potere che non siamo in grado di conoscere e percepire, quindi nemmeno autogestire?
Tutto ciò mi sembra veramente al di là di ogni visione tradizionale di rivolta e di politica della rivolta. Bisognerebbe mettersi di buona lena a pensare e progettare come sottrarsi seriamente a una tale catastrofe antropologica, con l’intenzione di ricostruire una rete autogestita di relazioni umane e sociali, capace di diffondere e condividere il sapere, per riuscire anche a produrre qualità tecnologiche sofisticate e d’altissimo livello, usufruibili però comunitariamente da tutte/i.

È opinione diffusa che questo nuovo dominio artificiale sia intrinsecamente orientato all’offesa, favorisce cioè l’attacco preventivo sulla difesa, quindi destabilizzante dal punto di vista strategico.

Quello cyber è un dominio bellico che, proprio a causa della sua nascita recente e dell’elevatissima velocità di evoluzione tecnologica, non ha permesso lo sviluppo di una qualche forma di regolamentazione internazionale

Non ci sono dubbi che tutti i futuri conflitti armati avranno una dimensione cibernetica di livello variabile, attualmente difficile da valutare nella sua interezza e complessità, ma per i quali molti paesi si stanno attrezzando

Il mondo digitale ormai è qui con noi e ci resterà a lungo, nel bene e nel male, è quindi importante promuovere una attenta riflessione sul ruolo e i rischi di queste nuove tecnologie. C’è una responsabilità nei confronti della società che tecnici e scienziati in particolare, ma non solo loro, anche militari e decisori politici, devono assumere per promuovere uno sviluppo coerente ai principi di stabilità e di sicurezza globale, nonché di stabilite convenzioni internazionali che regolano il comportamento durante i conflitti. E sarà importante ricordare queste parole di Albert Einstein: “Non possiamo risolvere i problemi usando lo stesso modo di pensare che abbiamo usato per crearli”.

Andreapapi
MicroMega - SCIENZA - LA MELA DI NEWTON:
Cyber-war: il grande campo di battaglia digitale
                               

16 giugno 2016
Cina, assalto ai mercati globali
Diversi attenti osservatori economici stanno sottolineando come la Cina stia aumentando la sua invadenza finanziaria attraverso acquisti sempre più massicci di imprese occidentali.
Nell’articolo che segnaliamo, di Ettore Livini e Luca Pagni (Tycoon cinesi, sale la febbre… su AFFARI&FINANZA di la Repubblica del 13 giugno), è messo bene in evidenza come questa tendenza non sia “semplice” conseguenza di dinamiche di mercato, bensì frutto di un oculato ma determinato calcolo d’invadenza planetaria da parte dell’ establishment del sistema politico cinese.
La lunga marcia delle aziende cinesi alla conquista del mondo prova a mettere il turbo. Così comincia l’articolo sottolineando come ci sia una precisa volontà di imporre la propria egemonia finanziaria sul mondo. Lo specifica successivamente a chiare lettere, precisando anche quale siano le intenzioni e il motivo fondante di una strategia geo/economica così invasiva: l'obiettivo di Pechino è quello di conquistare il mondo con i soldi, non con le corazzate. Stiamo così praticamente subendo una guerra di portata planetaria, i cui mezzi e strumenti di combattimento non sono più le armi tradizionali che hanno sempre distinto ogni aggressione militare, bensì la forza del denaro.
Che la finanza sia da diversi decenni lo strumento planetario fondamentale per imporre i voleri oligarchici di elite spietate che stanno mettendo il mondo in ginocchio, lo si era scoperto da un pezzo. Qui però c’è una caratteristica peculiare che la differenzia. Eravamo infatti abituati a che questo tipo di guerra non fosse più il classico conflitto tra stati, dal momento che si svolge a livello globale sovrastatale, espressione di imperi economico-finanziari sovranazionali. In questo caso invece abbiamo uno stato, geograficamente tra i più estesi del pianeta e con la popolazione più numerosa, che si comporta da colonizzatore con la sua preponderante forza monetaria, non più attraverso il suo potente esercito.
Il fatto è che la Cina non è uno stato qualunque, non tanto per la sua mole veramente gigantesca, quanto per la struttura politico/economica che la sovrintende. La Cina infatti negli ultimi decenni del secolo scorso ha messo in piedi un vero e proprio mostro, riuscendo a coniugare il peggio del bolscevismo col peggio del capitalismo, mantenendo una condizione di sfruttamento tremenda e al contempo una dittatura politica totalitaria soffocante, illibertaria al massimo. La Cina ha così dimostrato che non è vero che per sussistere il capitalismo abbia bisogno di politiche democratiche, come si credeva un tempo ormai abbandonato, bensì può benissimo reggersi in regime dittatoriale, nonostante che l’ideologia marxista su cui ha fondato il proprio stato politico abbia i suoi fondamenti in un radicale anticapitalismo.
Noi non possiamo sapere dove ci porterà questa marcia cinese di conquista economico-finanziaria. Sappiamo però che non è affatto rassicurante e che con molta facilità ci aspettano nuove forme di oppressione politica ed economica non certo gradevoli e auspicabili. Come sottolinea l’articolo riportato, gli stessi manager e investitori occidentali finora padroni del campo, ora invece in discussione, cominciano ad essere seriamente in apprensione. È una preoccupazione comprensibile … quando gli investimenti arrivano da un paese a partito unico, senza Parlamento, con la Banca centrale sotto controllo dell'esecutivo, qualche domanda bisogna farsela.
Andreapapi
 la Repubblica – AFFARI & FINANZA - Tycoon cinesi, sale la febbre…
                    

 
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