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Non sono partigiano né del si né del no

Pubblicato da Andrea Papi in De referendum · 19/10/2016 18:12:00
  
La piega che ha preso la propaganda riguardante la partecipazione al prossimo referendum sulla riforma della Costituzione, voluta dal governo Renzi, scade a tratti nel patetico fino a trovarsi collocata in uno stagno che trasuda insulsaggine. I partigiani dell’una e dell’altra parte si stanno scannando, vicendevolmente accusandosi, a seconda del sostegno alle tesi del si od a quelle del no, di essere conservatori o tiranni.
 La prima cosa che salta agli occhi è che sono saltate le appartenenze. Se ancora qualcuno fosse convinto che in sede istituzionale abbia senso parlare di destra e sinistra, penso seriamente che debba ricredersi. Secondo uno schema classico, quello con cui la mia generazione si è educata, la Costituzione è nata in seguito alla sconfitta del fascismo e per molti aspetti propone valori e metodi espressi dalla sinistra resistente al fascismo. Le destre e i filofascisti dovrebbero perciò essere in qualche modo contrariati da essa, mentre la sinistra in genere ci si dovrebbe riconoscere. In seguito agli schieramenti generati dal referendum, destra e sinistra si trovano insieme a lasciarla com’è mentre il Pd, ufficialmente di centro/sinistra, vuole cambiarla, a modo suo ovviamente.
I due fronti di riferimento classici erano geneticamente la sinistra proponente libertà, democrazia e uguaglianza sociale, opposta alla destra, quella filofascista nostalgica del ventennio dittatoriale e quella moderata che appoggerebbe la borghesia e i poteri forti, rifiutante logiche di protesta e proponente un ordine ferreo e il rispetto delle leggi. Tagliate molto con l’accetta, queste dovrebbero essere le differenze identitarie, che tradizionalmente distinguevano cultura di destra e cultura di sinistra. Niente più di tutto ciò. Oggi anche le destre straparlano di libertà e uguaglianza, avendo in realtà presenti regimi che s’impongono d’autorità e danno spazio a sentimenti xenofobi, se non addirittura razzisti, facendo supporre di conseguenza che si riferiscano a "libertà" dagli immigrati e da chi non la pensa come loro. La sinistra istituzionale invece, in origine nemica tradizionale delle prefetture governative e dei governi borghesi, rischia oggi di apparire come il loro più accanito difensore.
Inoltre, eminenti personaggi provenienti dai due fronti contrapposti (Fini con Dalema o Brunetta con Vendola siano esempi per tutti) si trovano dalla stessa parte per il raggiungimento di obbiettivi di mera gestione del potere, non più rappresentativi né collegabili alle due differenti visioni su cui si sono formate destra e sinistra. L’alibi, o la scusa, di questo “allegro connubio” sono il cambiamento o meno di parti della Carta Costituzionale, oppure le modalità di voto elettorale. Il centro vero della questione però sono la gestione del Governo nazionale e la governabilità, cioè la possibilità di esercitare la funzione di governo rendendo minima l’azione dell’opposizione parlamentare. Ciò che si svolge a livello popolare extra/parlamentare non è neppure contemplato come possibilità para/istituzionale, essendo considerato di solo disturbo.
Tutta questa vicenda, derivata dal referendum costituzionale 2016, mi sembra concerni più che altro materia e metodologia esclusivamente inerenti la gestione del potere politico, oggi espressione dei sistemi di imposizione economico/finanziaria vigenti. Non credo di essere vano profeta se sono convinto che non cambierà la sostanza delle cose, indipendentemente che vinca il si o il no. In caso di non approvazione referendaria tutto il sistema istituzionale italiano resterà invariato, esattamente com’è stato fino ad ora. Capirai che risultato! Lo dico soprattutto nella consapevolezza che quella che si continua a chiamare “sinistra” caldeggia apertamente per un tale risultato. Se al contrario vincerà il si, si verificheranno piccoli cambiamenti di gestione istituzionale. Avendo necessariamente uno sguardo ora solo ipotetico dal momento che non si tratta di pratica viva, questi piccoli cambiamenti, dal punto di vista delle procedure parlamentari, non renderanno che un po’ più verticale la gestione del potere politico centrale dello stato. Si tratterà probabilmente di un ulteriore passo in avanti verso una reazionaria e autoritaria concentrazione dei poteri nazionali, che già, da sempre, non godono di buona salute.
 Personalmente non ritengo che sarà un bene sia nell’un caso che nell’altro. Soprattutto ritengo che i problemi che dovrebbero interessarci siano ben oltre una tale superficiale diatriba, che sta solo favorendo ulteriormente lo sparigliamento delle carte di una destra e una sinistra in completa agonia. Soprattutto perché nell’un caso come nell’altro continueranno a decidere, per noi su di noi, sempre le stesse elite elette. Come ora, non saranno certamente organismi popolari di base a poter intervenire o incidere nel livello politico decisionale.
Dal mio punto di vista ci vorrebbe la consapevolezza che non basta un maquillage procedurale, qualunque esso sia, per riuscire a risollevare le sorti delle democrazie rappresentative. Per prima cosa perché, ammesso che lo abbiano mai fatto veramente, strutturalmente da tempo ormai non riescono a rappresentare più nessuno, se non se stesse in quanto strutture istituzionali. Per seconda cosa perché ovunque nel mondo i poteri politici nazionali, sottoposti alle irresistibili pressioni dell’incalzante finanziarizzazione globale, extrastatale e sovranazionale, sono sempre meno autonomi e contano sempre meno. Hanno, infatti, sempre meno possibilità di scelta e di movimento. Gli stati di fatto sono sempre più amministratori territoriali per conto di …
Cosa volete che interessi alle vere potentissime forze che ci condizionano e s’impongono se abbiamo un sistema parlamentare di un tipo o di un altro, o se le procedure di voto si esprimono così o cosà? Non gliene frega proprio nulla e dal loro punto di vista hanno ragione. Erano problematiche che avevano un senso quando Montesquieu o Tocqueville riflettevano sul funzionamento di uno stato liberale dove le decisioni avrebbero potuto risultare autonome, come effettivamente potevano avere un senso in qualche modo rappresentativo. Ma a quei tempi la sinistra, che ragionava in modo coerentemente radicale, giustamente li contestava perché non tenevano conto dello sfruttamento operaio e non volevano superare l’autoritarismo politico centralizzato. Oggi contesto ed orizzonte socio/politici sono completamente cambiati e il senso profondo di queste questioni si è progressivamente annichilito. Le problematiche vere sono diventate ben altre, mentre i poteri che contano e ci condizionano sono collocati in altri ambiti, oltre gli stati, le nazioni e le loro modalità di gestione.
Per tutto ciò in coerenza mi asterrò dall’essere complice. Non parteciperò al voto, limitandomi ad osservare, probabilmente disgustato, come le strutture in via di consunzione dei poteri politici portano avanti l’ennesima lotta intestina, per ottenere “illusioni di potere” che, nolenti, stanno vivendo una naturale disgregazione.
Andreapapi




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