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Per una tecnologia non più ad uso e consumo delle elite

Pubblicato da Andrea Papi in oltre la tecnologia · 9/6/2016 12:24:00
                                
Domenica 5 giugno 2016 si è svolto in Svizzera un referendum sulla proposta di erogare un “reddito di base incondizionato” per tutti, bocciato con una percentuale di circa il 78%. Per essere approvato avrebbe dovuto conquistare una doppia maggioranza, dei cantoni e dei votanti. L’iniziativa era stata lanciata da un gruppo indipendente, capitanato dal proprietario del Caffè Basilea Daniel Haeni. Pur sapendo che avrebbe avuto scarse probabilità di essere approvata nonostante il grande interesse dell’opinione pubblica, i suoi promotori avevano ugualmente scelto di porre in campo la questione, consapevoli com’erano della sua portata e del dibattito che avrebbe sviluppato.
La proposta prevedeva che lo stato avrebbe dovuto erogare un reddito mensile per tutti/e dalla nascita alla morte, di 2.500 franchi elvetici (circa 2.250 euro) per gli adulti e di 625 franchi (560 euro) per i minorenni. Intesa a sostegno della dignità umana e del servizio pubblico era sorretta da due tipi di motivazioni. Primo perché la tendenza in atto è che si è destinati a perdere sempre più posti di lavoro a causa dell’automazione dilagante nei diversi settori produttivi. Secondo perché per i promotori una percentuale significativa di persone svolge lavori non riconosciuti e non pagati, come la cura dei bambini o di parenti malati o anziani. Dietro questa proposta c’è senz’altro una visione illuminata, come poteva avere a suo tempo un Adriano Olivetti, che cerca d’intervenire strategicamente secondo una logica di equa distribuzione sociale di quote di benessere.
Trovo particolarmente interessante la motivazione inerente l’automazione, perché tenta di dare una risposta da welfare di un paese avanzato a una problematica socio/economica che nel giro di pochissimi lustri diverrà improrogabile. Sentendola impellente e indifferibile, è una tematica che personalmente avevo in parte già affrontato in due articoli pubblicati su A rivista anarchica: Il futuro è già qui (n 400, estate 2015) e Liberiamoci dal futuro del presente (n 385, dicembre 2013).
Che cosa ai miei occhi la rende “impellente e indifferibile”? Il fatto che quando il lavoro produttivo sarà completamente e definitivamente automatizzato, robotizzato e computerizzato, la manodopera tradizionale scomparirà per essere sostituita da macchine/automi e da robot isomorfi. Una tendenza che sembra inarrestabile, con cui non si potrà non fare i conti. Una prima conseguenza strutturale sarà la scomparsa della classe operaia umana, il proletariato. Al suo posto ci saranno scomparti di macchine e reparti cibernetici, dove la relazione umana sarà ovviamente assente. Non potranno che decadere, forza maggiore, ogni immaginario ed elucubrazione inerenti lotta di classe e rivolta operaia, oltre a ridefinire metodologie sovversive e prospettive di emancipazione.
Pure la borghesia, intesa nel senso classico di proprietaria del capitale, cioè dei mezzi di produzione e della manodopera, non sarà più una figura socio/economica realistica. Chi gestisce la produzione sono sempre meno, anzi ormai non lo sono praticamente più, i capitalisti proprietari, mentre sempre di più il livello produttivo è campo d’intervento della speculazione finanziaria globalizzata, vero territorio di azione per la dominazione degli ambiti socio-politici-economico-finanziari.
Tutto ciò, se non si vuol continuare a viaggiare in un limbo fuori da ogni ambito realistico, non può non comportare una seria revisione delle prospettive per le alternative ai sistemi di potere vigenti, assieme a una ridefinizione dell’immaginario di lotta e del tipo di società alternative all’esistente, fondate su presupposti di eguaglianza, giustizia e libertà, come da sempre gli anarchici auspicano.
Una prima base di riferimento per affrontare una seria riflessione in proposito, può benissimo essere rappresentata dalla profonda riflessione che Bookchin cominciò a sviluppare con largo anticipo già nel 1965, nel saggio Verso una tecnologia liberatoria, pubblicato come capitolo di Post-scarcity anarchism (Edizioni La Salamandra, 1980). Personalmente me ne sono in parte occupato nel capitolo Scenario di libertà del mio Per un nuovo umanesimo anarchico (Edizione Zero in condotta, 2009).
Pienamente consapevole che la materia in questione vada aggiornata e rivista alla luce dei cambiamenti sopravvenuti, trovo tuttora interessante, nella sostanza ancora valido, ciò che Bookchin cominciò a prospettare già allora. Egli sosteneva che le enormi potenzialità della tecnologia robotica e informatica, oggi sviluppatesi ampiamente oltre ogni supposizione immaginaria di allora, non dovessero rimanere mero strumento di elite oligarchiche avide e spietate, le quali ne fanno un uso egoistico meramente finalizzato ad accumuli finanziari spropositati coi quali ricattano e mettono in ginocchio intere popolazioni per conservare il proprio status di implacabile cannibalismo sociale.
Sosteneva invece che ci sarebbero concrete possibilità per essere messe a disposizione dell’intera società, sia per liberare l’umanità dalla schiavitù del lavoro, sia perché tutti/e ne potessero beneficiare, sia contribuendo ognuno allo sviluppo generale col proprio sapere e le proprie competenze, sia per fare in modo che il benessere potenziale venisse generalizzato, diventando così patrimonio collettivo distribuito paritariamente, usufruibile da ogni individuo. Il sapere e le invenzioni insomma al servizio di tutti/e, non più privilegio di un’esigua minoranza che se ne serve per schiavizzare il resto dell’umanità a proprio esclusivo vantaggio.
Trovo che sia una tesi ancora grandemente affascinante, soprattutto attuale. Date le tendenze in atto, sempre meno ignorabili, può benissimo diventare parte fondamentale di una visione alternativa ad ampio raggio, in grado di rilanciare e riproporre prospettive di cambiamento radicali adeguate ai tempi, capaci di dare senso ai presupposti di uguaglianza, giustizia e libertà che da sempre l’anarchismo prospetta.
Andreapapi




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